Educare a costruire il futuro al di là del "presente onnipresente"
Derivato dal participio
futuro del verbo latino esse, il termine “futuro” indica una dimensione
costitutiva dell’esistenza, senza la quale la vita dei singoli e delle
comunità appare oggi disorientata e dispersa, inibita e bloccata in un
“presente onnipresente” più subìto che vissuto.
La dimensione dell’“adesso”,
infatti, blocca sul nascere desideri da realizzare e progetti da costruire,
ripiegandoli su occasioni da consumare velocemente e avidamente, secondo una
logica che non motiva a costruire futuro ma a godere dell’effimera
possibilità dell’attimo, vivendo nella dimensione del momentaneo come forma di
protezione dall’angoscia di una vita priva di prospettive.
Questa condizione, per
quanto diffusa, appare però innaturale, nel senso di non conforme all’esistenza
stessa e, in quanto tale, va contrastata e “ribaltata” a vantaggio di una
progettualità nutrita di futuro, per tutti e per tutta la vita.
Per tutti: il
riferimento è all’intera umanità, soprattutto in un momento in cui, al
contrario, interi gruppi di persone “disperate”, nel senso di prive di speranza
per un futuro nella propria terra, cercano di conquistarselo in altre parti del
mondo, esponendosi però a condizioni che per lo più troncano sul nascere
qualsiasi progettualità futura. Questi “viaggi della speranza” (che peraltro ci
ricordano quelli dei nostri progenitori all’inizio del secolo scorso)
naufragano troppo spesso in fondo al mare oppure si infrangono contro barriere
materiali e immateriali – la costruzione di nuovi muri, i presìdi nei
quartieri, i blocchi alle frontiere ecc. – che, talune volte, vengono
giustificate contrapponendo analoghe situazioni di miseria e di degrado, altre
volte, evidenziano semplicemente indifferenza e insensibilità mascherate da
ragioni di sicurezza per l’incolumità di persone e beni. In ogni caso,
inaccettabili di fronte alle storie tragiche di persone – molte delle quali
bambini – private appunto di futuro, proprio lì dove speravano di
riguadagnarlo, fuggendo le condizioni disumanizzanti delle proprie terre di
origine.
Per tutta la vita:
come indicato nella call di questo numero della Rivista, anche se riferita in
primis ai giovani, la dimensione del futuro appartiene a tutte le età della
vita:
- appartiene all’infanzia,
la cui “coltivazione e cura” si nutrono di intenzionali percorsi educativi e
formativi nella pluralità dei contesti di vita: dalla famiglia alla scuola ai
luoghi dell’informale e del non formale;
- appartiene ai giovani, che
vanno opportunamente sostenuti e orientati nel trovare la loro giusta
direzione, nella consapevolezza che il proprio “oriente” non è più una meta
stabile e definitiva ma che va costantemente ridefinita e riprogettata;
- appartiene agli adulti,
forse le persone oggi più in crisi di fronte al tramonto di un’idea di adultità
stabile e sicura, che rimette in discussione un futuro dato per certo e li
espone a inaspettate condizioni di precarietà materiale ed esistenziale ma
anche a inedite prospettive di sviluppo e crescita ulteriori;
- appartiene agli anziani,
per i quali l’allungamento dei tempi di vita non sempre si accompagna a
condizioni adeguate, popolando questa età di solitudini e di abbandoni rispetto
a una umanità che consuma freneticamente il proprio tempo e che, proprio per
questo, “non ha tempo” da dedicare ai propri anziani.
All’egemonia del presente –
che occulta sia il passato che il futuro – occorre allora contrapporre un
progetto di continuità e di ricomposizione dialettica dei differenti tempi
della vita, nella duplice dimensione diacronica (per l’intero corso
dell’esistenza) e sincronica (diffusa nella pluralità dei luoghi di vita e di
esperienza).
Questo progetto non può che
essere un progetto educativo, che affida alla prospettiva della formazione
permanente la possibilità di porre le basi concrete per la sua attuazione. Non
è un caso che tale consapevolezza − coltivata da tempo nell’ambito del sapere
pedagogico – venga fatta propria dalle altre scienze, sì che lo stesso Bauman
parla di “una formazione che, nel quadro della ‘modernità liquida’, non
appare più ‘concepibile’ né ‘pensabile’ in una forma diversa dalla formazione
incessante, perpetuamente incompiuta e aperta” (Bauman, 2009, p. 87).
Il diritto all’apprendimento
e alla formazione permanenti appare, dunque, la vera frontiera dei diritti
delle persone, l’unica garanzia di costruzione di un futuro assicurato a tutti,
al di là dell’appartenenza geografica, etnica, culturale e sociale. Proprio
perché non ci può essere futuro senza democrazia e senza rispetto di quei
diritti di cittadinanza planetaria a cui Morin ha fatto esplicito riferimento
nei suoi scritti e su cui Nussbaum sta riflettendo nei suoi studi più recenti.
Studiosi che, com’è noto,
appartengono a differenti ambiti disciplinari ma che non possono non ricondurre
tutte le differenti letture – sociologiche, antropologiche, filosofiche,
economico-giuridiche, etiche – all’interno della prospettiva pedagogica, in
ragione del suo specifico approccio epistemologico. Il proprium della pedagogia
è, infatti, l’essere una scienza che “espone” la sua teoria ai venti impetuosi
del cambiamento per poi sperimentarla nella concretezza della realtà e, dunque,
rimettersi in discussione, riconfigurandosi e riprogettandosi, traendo alimento
dall’esperienza.
La dimensione progettuale è
dunque costitutiva del sapere pedagogico così come lo è della vita stessa e,
dunque, va assicurata a tutti e per tutta la vita, come poc’anzi ribadito.
Spetta a tutti noi, allora, educare a costruire futuro, con uno sguardo
preferenziale alle giovani generazioni: perché sappiano ri-apprendere a
sognare, a sperare, a progettare una vita proiettata verso il futuro.
Com’è giusto che sia.
di Isabella Loiodice
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