VALSASSINA DA SCOPRIRE

 


IL SAPORE DELL’OSPITALITA’ VALSASSINESE

Qual’è il sapore dell’ospitalità in valsassina?

Svegliarsi con lo scampanio delle vacche o per il rumore di un trattore, venire accolti da una tavola apparecchiata per la colazione accanto alla finestra da cui il sole entra solleticando i gerani. E fuori il prato verdissimo, il bosco vicino, il sentiero invitante, il luccicare dell’acqua di un torrente. La vacanza qui si combina con una esperienza unica: vivere a contatto con la natura, in sintonia con la vita contadina. Il miele, il pane, il latte, le uova, il formaggio, i piccoli frutti del bosco, tutto quello che si mangia viene dalla terra circostante dove la gente che vi ospita vive a lavora da generazioni. Qui non vi è nulla di impersonale. Qui è come sedersi alla tavola di famiglia. Premura e abilità sono naturali dato che sapori e profumi che vengono serviti sono quelli della tradizione. Semplice, sobria cultura di una cucina contadina di montagna, abituata ad usare i prodotti della terra della stalla, arricchiti dalle erbe aromatiche dei parti e dell’orto. Paul Bocuse e la cucina francese certo sono lontanissimi da questa cucina dove arde ancora il fuoco a legna che, assieme ad un buon grappino finale, fa dimenticare possibili nostalgie di nouvelle cousine.

Sui monti è sempre festa: già i colori dell’alba e del tramonto sono un continuo spettacolo. Stare a contatto con la natura è una piacevole emozione. E’ piacevole immergersi nella natura per fuggire per qualche ora dal quotidiano, dal traffico, dallo stress. Ancor più piacevole fuggire dalla ripetitività, cercando segni di un passato che spesso non è poi così lontano. Il fascino discreto delle tradizioni, la riscoperta del sapore della genuinità ed i ricordi infantili che fanno ancora sognare esistono ancora. Ecco quindi che tutto quello che banalmente si definisce come folclore costituisce spesso motivo di attrazione.

D’estate nei nostri paesi è usanza festeggiare tutti assieme il santo patrono. E’ la festa della chiesa, in realtà una sagra. Certo, una sagra come tante altre ma dalle spiccate connotazioni campanilistiche, il giorno in cui si indossano i vestiti della festa e, in tanti paesi, si esibiscono i costumi più belli. Alla sagra vengono mostrati anche tutti quei prodotti genuini che vengono prodotti con amore dagli agricoltori. E che dire dei lavori più tipici dell’artigianato, sempre diverso di paese in paese, che vengono esposti sulle bancarelle? Queste sono feste dal sapore “privato”, fatte per la gente del luogo e proprio per questo apprezzate dai turisti. Infatti, chi si trova nel mezzo di una festa patronale, scopre la Valsassina nelle sue espressioni più autentiche, di cui queste feste rappresentano il simbolo più evidente.

Le sagre del patrono, i raduni sui monti alle chiesette dei santi fratelli eremiti (Sfirio sul Legnoncino, Calimero sui monti di Pasturo, Ulderico e Grato sui versanti della Muggiasca, Defendente in Val d’Esino), i pellegrinaggi alle chiese mariane, appartengono a quel filone di tradizioni popolari religiose che sono ancora vive in Valsassina e che scandiscono i riti delle stagioni e della fede, mescolando elementi pagani e cristiani, origini celtiche, latine e longobarde. Le tradizioni in Valsassina, al contrario di quanto accade in altre terre turistiche, sopravvivono in modo autentico e genuino nella vita quotidiana. Lo testimoniano, in modo particolare, le devozioni secolari alla Madonna della Neve in Biandino, nel territorio introbiese, e alla Madonna delle Lacrime a Lezzeno, nel territorio bellanese. Dalla primavera all’autunno il calendario delle feste dei patroni delle sagre, delle processioni, è lunghissimo. Di padre in figlio si tramandano canti, riti, costumi, questi gelosamente conservati a distinguere l’identità di un paese o di una vallata. Lo stesso spirito che caratterizza gli uomini della montagna per eccellenza, gli Alpini, che tra questi monti, al Pian delle Betulle, hanno eretto la loro “tenda dell’anima”, la chiesetta sacrario del Battaglione Morbegno, ex voto dal fronte di guerra nel secondo conflitto mondiale. Gli Alpini vi convergono la prima domenica di settembre a confermare il loro patrimonio di valori unico e irripetibile.

Nelle processioni, come quella del Corpus Domini a Premana – splendida coreografia amata dai turisti che però spesso dimenticano che non si tratta di un rito consumistico bensì di una tradizione di fede – partecipa tutto il paese, giovani e vecchi, donne e uomini, con quella cordialità che distingue ancora questa comunità. Qui l’impiego del costume – il coton più grezzo per tutti i giorni, il morel più fine per le feste – è proverbiale.

Ogni evento della vita quotidiana quale un matrimonio, un lutto, una festa comandata grande o minore, ma anche i giorni lavorativi, trovano la loro espressione nel costume da alcuni particolare del quale è anche riconoscibile lo stato civile di chi lo indossa. Ciò che rende ancora oggi così viva e radicata la tradizione di portare il costume è la consapevolezza delle tradizioni e l’attaccamento alla propria terra. Il costume, in ogni caso, non è da considerarsi un elemento folcloristico con scopi prettamente turistici, ma un elemento vivo e sentito. Sono ancora frequenti, anche se ormai le nuove abitudini stanno cambiando il modo di vestirsi più tradizionale, le  occasioni per poter vedere i costumi: alla domenica sulle piazza dei paesi, o nelle feste religiose importanti quando le processioni attraversano i centri.

Nel periodo di maggiore affluenza turistica, durante l’estate, spiccano due manifestazione culturali di assoluto valore: la Rassegna organistica sugli storici strumenti della Valle e il Festival di musica classica “Tra lago e monte”. E nei giorni del Ferragosto la “Sagra delle Sagre” richiama migliaia di visitatori con la sua mostra mercato dei prodotti del territorio.

Quando le cime si imbiancano con la prima neve, le giornate si accorciano ed i raggi del sole diventano sempre più radenti ai pascoli alti, arriva l’ora di tornare verso le stalle del fondovalle, di dimenticare l’erba fresca e di tornare a riempirsi la bocca con il fieno secco dell’inverno. Il bestiame degli alpeggi, a settembre, volge il muso verso valle e comincia a scendere, scampanante e mugghiante, un esercito che ritorna a casa dopo tante settimane passate in quota. La figura dell’alpigiano che governa il bestiame sui pascoli nasce da questa antica necessità contadina di trasferire le vacche verso le cime per poter falciare i prati vicini alle case e ricavarne il fieno, preziosa riserva per i mesi freddi. Il rientro dai pascoli alti è stata ed è ancora in Valsassina una festa a cui partecipa tutta la comunità. E l’appuntamento con le Manifestazioni Zootecniche Valsassinesi, l’ultimo fine settimana di settembre e il primo fine settimana di ottobre, che oggi rappresenta una rara testimonianza di folclore autentico, non inquinato da servitù turistiche. Ogni anno all’inizio dell’autunno si ripete questa antica usanza, comune alle civiltà contadine delle Alpi, una volta diffusa in tutti i paesi e dall’inizio del Novecento vissuta al Centro Zootecnico Valsassinese di Pasturo con una solennità dimenticata altrove. I protagonisti di queste giornate sono i contadini e gli alpigiani che fanno i conti dei capi e delle forme di formaggio, i pastorelli che ritornano in famiglia, e le vacche, che beneficiano anche di una speciale benedizione. A loro viene tributato quell’omaggio che si conviene a chi ha garantito, da sempre, la sopravvivenza alla gente di queste vallate. Introbio con l’antichissima fiera di San Michele e Casargo con l’altrettanto secolare “fiera dei morti” adesso trasformatosi nel secondo grande appuntamento zootecnico della valle, la Mostra regionale della capra orobica, chiudono il ciclo delle manifestazioni d’autunno, prodromi ed altri appuntamenti irrinunciabili: la cavalcata dei Tre Re nella magia dell’Epifania a Premana, la “pesa vegia” nella stessa notte nella chiassosa Bellano. Poi è subito carnevale: quello della Valvarrone è antichissimo, una mecca per gli appassionati di etnografia e folclore.

DISTESE VERDI RICCHE DI ERBA PROFUMATA E SAPORITA PER VACCHE FELICI

Vi siete mai chiesti come mai il formaggio d’alpe, quello prodotto sui monti, ha un sapore così buono, così intenso? Ogni alpigiano vi svelerà il segreto: “Vacche felici danno buon latte e quindi anche il formaggio è più buono”.

La vita estremamente semplice, spesso nella solitudine degli alpeggi, oggigiorno affascina sempre più chi vive nello stress quotidiano di città sovraffollate, facendoci scoprire che, in fondo in fondo, in ognuno di noi c’è nascosta una Heidi, la simpatica bambina che riusciva ad essere felice soltanto in mezzo ai suoi monti. Semplici, come la vita, anche i prodotti che si possono trovare negli alpeggi valsassinesi. Molti di questi, trovandosi lungo sentieri o percorsi di trekking, offrono sapori ormai dimenticati e na volta assaggiata non si dimenticheranno più. Il formaggio d’alpe, che cambia sapore a seconda dell’altitudine, della zona di produzione e chiaramente anche dalla ricetta “segreta” del casaro o il latte appena munto dal sapore intenso.

Chiudete gli occhi e lasciate volare la vostra fantasia… prati verdi accarezzati da una fresca brezza, distese colorate di fiori di montagna, aria frizzante e il tintinnio leggero di campane e campanelle agitate dal movimento del bestiame. Poi il ronzio di qualche insetto, il profumo di bosco e del fieno appena tagliato, il vocio remoto degli alpigiani, il gusto intenso del latte appena munto, il sapore di prodotti genuini fatti in casa: non è un sogno. Il mondo di Heidi si trova anche in Valsassina. Quando una camminata in montagna ci porta al limite della vegetazione arborea, lì dove verso il cielo terso si aprono ampie distese di pascoli, queste sensazioni, questi profumi e sapori diventano realtà. Vacche e capre all’inizio dell’estate lasciano i prati dietro casa per passare un periodo di “villeggiatura” in cerca dell’erba più verde e più nutriente. Non solo il bestiame, ma intere famiglie di alpigiani traslocano verso gli alpeggi. Un rito che si ripete da secoli. Anche per questo la partenza per l’alpeggio come anche in autunno il ritorno rappresenta tuttora, nella tradizione popolare, un momento di particolare suggestione, accompagnato da riti propiziatori e benedizioni religiose.

Dall’Alpe Paglio e dal Pian delle Betulle il tracciato che porta nella Val Biandino attraverso gli apleggi di Ortighera, Oro e Dolcigo e la bocchetta d’Ombrega, è fatto di ampie distese verdi, ricche di erba profumata e saporita, dove pascolano serenamente vacche, cavalli e pecore. Una scena bucolica che ogni anno d’estate si presenta a chi sale ai piani alti delle vallate della Valsassina, cioè agli alpeggi. Da secoli il bestiame viene portato sui prati d’altura per un periodo di “villeggiatura”. Ciò avviene all’inizio dell’estate, in talune zone già a metà maggio, seguendo i ritmi della natura. Man mano che nel fondovalle la temperatura si alza, anche sugli alpeggi l’erba comincia a crescere rigogliosa. E con buona erba, si sa, si fa buon latte. Non è però soltanto il bestiame a spostarsi: con la stagione degli alpeggi vengono riaperte anche le baite, cioè le costruzioni in cui vivono i contadini o i pastori al seguito del bestiame. Chi d’estate si trova a camminare in montagna potrà così assaporare il gusto di un buon bicchiere di latte appena munto o di una scodella di panna freschissima o magari provare qualche assaggio di formaggio genuino. La vita di alpeggio, all’apparenza, è una vita affascinante a stretto contatto con la natura: aria pulita e frizzante, cielo terso, ronzio di insetti, il suono delle campane al collo delle vacche. La vita di alpeggio è però un momento di duro lavoro. Seguire ed accudire il bestiame, mungere e poi lavorare il latte, produrre burro e formaggio, e tanti altri lavori di fatica, spesso molto lontani dalla civilizzazione e dalle comodità. Lo sapevano bene gli alpigiani di Biandino che trovandosi “distanti dalla parrocchiale cinque o sei miglia di strada alpestre e impraticabile” così che “in caso di morte non hanno che gl’assista, non potendo li curati, per la lunghezza del disastroso viaggio far quello che per ragione dell’officio loro far si dovrebbe” nel 1664 scrissero all’arcivescovo di Milano chiedendo il permesso di costruire un piccolo oratorio dove in estate si potesse ascoltare la messa. Nel 1670 l’oratorio della Madonna della Neve era già costruito e continua ad essere ancora oggi la più significativa testimonianza di religiosità alpina della Valsassina, testimone di cultura e civiltà, storia e memoria. La chiesa della Madonna della Neve, infatti, il 5 di agosto di ogni anno, richiama da ogni angolo della valle folle di pellegrini rappresentando una delle tradizioni e ritualità più originali. Una testimonianza di antica fede e profonda religiosità popolare di paesi e vallate, carica di fatiche arcaiche visto che si sale a Biandino, da Introbio, con una processione orante di cinque ore, e altrettanto si fa sulla strada del ritorno. Questo lembo di territorio è poi testimone di un altro evento dai tratti di religiosità profondamente marcati: è il raduno della prima domenica di settembre nella pace del Pina delle Betulle degli Alpini del Battaglione Morbegno. La loro “tenda dell’anima”, la chiesetta ex voto del fronte greco albanese della seconda guerra mondiale, tiene viva la memoria dei Caduti e la  riconoscenza dei sopravvissuti.

MUSEO ETNOGRAFICO DI PREMANA

Una raccolta interessante di arredi, costumi, attrezzi da lavoro e immagini fotografiche, e tanto altro ancora, costituisce il museo etnografico di Premana, illustrazione minuziosa di questo microcosmo così unico sulla montagna lombarda. Le caratteristiche del museo etnografico premanese sono tutte scritte nella sua origine: una sorta di scrigno della memoria della comunità.

Le macine per mulino ricordano gli impianti che sul Varrone riducevano in farina la segale e la fraina. La ricostruzione di una «casine» allinea tutte le attrezzature per la lavorazione del latte dal quale si ricavano burro, ricotta e formaggio d’alpe, oltre a una specialità di esclusiva locale, la «mascarpe pegade», brutto (a vedersi) e saporitissimo prodotto caseario a base di ricotta.

Vi sono attrezzi agricoli e per uso zootecnico, strumenti per la lavorazione della carne, una macchina per la cernita delle castagne e poi tutta una serie di «mezzi di trasporto»: basti e gerle di diversi tipi perché tutto doveva essere portato a spalla.

Fa tenerezza, in particolare, un gerlo con la culla sovrapposta, «ol fastel», che le mamme usavano per portarsi apprezzo i figli in fasce quando andavano nei boschi o sui pascoli.

Non meno attraente è la presentazione della vita casalinga di ogni giorno. Anche i semplici mobili domestici si costruivano artigianalmente in paese e le sedie erano impagliate con steli di segale. Sono in mostra assieme ad un’ampia dotazione di attrezzi per la casa, compresi quelli che esprimono il senso di religiosità di questa gente, come la recita del rosario nella quale si faceva scorrere una corona con grani formati da ossi di serpi.

Le attrezzature per filare e per tessere introducono ad un altro grande «capitolo» del museo, quello dell’abbigliamento, che a Premana ha caratteristiche tutte proprie. Spiccano il «coton» e il «morel» che possiamo considerare il modello feriale e il modello festivo del costume femminile sul quale si inserisce l’elemento più prezioso, la «pezze», la pettorina finemente lavorata e decorata con motivi floreali.

Poi c’è il grande capitolo della produzione ferriera, plurisecolare visto che il museo conserva un documento del 1574 che «fotografa» il paese documentando la presenza di 4 spadari, 3 ferari e 40 fabbri su un totale di 108 fuochi (famiglie).

Diversi esempi di lavorazione dei metalli sono esposti nella sale del museo compresi quelli – cominciando dalle punte delle gondole – che testimoniano gli stretti rapporti tra Venezia e Premana.

La riproduzione di documenti antichi, testi di storia e di folclore, opere poetiche e narrative di autori premanesi, la raccolta di articoli e saggi sul paese, nonché di fotografie e di filmati, danno un significativo valore aggiunto alle collezioni museali alle quali fa da guida un’utilissima pubblicazione di Antonio Bellati dal significativo titolo «Le cose che ci parlano».

INVITO A VIVERE LA MONTAGNA DA PROTAGONISTA

Con nuove iniziative turistiche (private o coordinate da organizzazione ed Enti) si cerca di sostenere economicamente questo territorio, contribuendo (sempre più in modo significativo e con maggiore successo) a quanto le antiche attività zootecniche, peraltro in favorevole rilancio, possano fare da sole.

Eppure ciò che rende singolare questa porzione delle nostre montagne non è solamente la sua bellezza, il fascino delle sue vette, il gusto incontaminato dell’aria o il profumo dei boschi, così ricercati ed apprezzati anche dal turista. E’ lo speciale rapporto che corre fra le genti che la popolano, fra le quali vigono norme provenienti da tempi remoti, culto delle tradizioni che caratterizzano questa morale immutabile, il valore sacrale di un sistema di vita e di consuetudini che passando da padre in figlio costituiscono il fulcro di ogni montanaro. Raggiungere uno dei Piani Alti dopo un paio d’ore di cammino può già diventare una piccola avventura da poter raccontare agli amici, una volta tornati in città.

La montagna si può godere in due modi. Il primo è quello di limitarsi ad osservare, a guardare, ad ammirare le montagne dall’automobile, dalla finestra dell’albergo, dalla stazione a monte della funivia. Questa visione se da una parte sazia  per l’abbondanza e la grandiosità delle immagini che si possono avere, finisce per accrescere il desiderio di gustare appieno le sensazioni che la natura può dare.
Il secondo è quello di vivere la montagna da protagonista, a tu per tu con i boschi, con i pascoli e con le rocce. Occorre quindi affrontare la montagna, occorre toccarla, occorre percorrerla, quindi occorre andarci. E’ solo in questa maniera che si diventa protagonisti e da attori si recita un ruolo primario circondati da un magnifico scenario.

Quale modo migliore di andare in montagna senza dover affrontare rischi inutili e senza dover essere dotati di una  specifica preparazione tecnico alpinistica se non l’andare per rifugi? I Piani Alti ai piedi del Gruppo dei Campelli ne offrono alcuni disseminati tra Artavaggio e Bobbio. Si tratta di strutture accoglienti che offrono piatti rustici ma in grado di assecondare i palati più esigenti e che consentono di poter avere un contatto diretto con la montagna. Quei piatti sono sempre serviti con una generosa porzione di cordialità. Per questo mangiare in uno dei nostri rifugi riscalda il cuore. E poi nei pressi c’è una malga con la sua mandria, i suoi alpigiani, il suo formaggio. Qui è come se il tempo si fosse fermato tra il profumo delle erbe montane, il suono cadenzato dei campanacci, il profumo del formaggio d’alpe. Gli alpeggi, d’estate, sono tutti in esercizio e invitano a farmi sosta. La zona dei Piani Alti consente poi di ripercorrere antichi passi carichi di storia e quindi di rivivere sensazioni passate.

Vale la pena di ricordare che di qui passò anche San Carlo Borromeo e a quegli anni risale la descrizione di “monti di Valsassina ricchi d’opimi pascoli i quali, irrigati da saluberrime acque, forniscono agli abitanti pingui formaggi”. Erano gli anni in cui i confini superavano largamente lo spartiacque della dorsale tra il Resegone e il Pizzo Tre Signori, per Brumano, Vedeseta, Valtorta e Averara. A quale dorsale si può idealmente tener dietro partendo da Morterone, ambiente di bella suggestione adagiato sotto il profilo dentato del Resegone, case e cascine sparse fra il verde dei prati. Quindi la grande sella prativa della Colmine di San Pietro. Da qui si parte per conoscere i monti dei dintorni. Prima tappa la grande spianata di Artavaggio con la singolare piramide del Sodadura e il massiccio dei Campelli oltre il quale sono i Piani di Bobbio. In tutta quest’area il pascolo, d’estate, rinnova le vecchie tradizioni con gli animali che brucano accanto ai pali di sostegno degli impianti di risalita: un accostamento, per segni, delle due “stagioni” che si alternano sui nostri Piani Alti. Qui da Mezzacca a Maesimo, sono stati realizzati interventi tesi a migliorare la qualità della vita della gente che abita le zone agricole attraverso la realizzazione di nuove infrastrutture e particolare attenzione alle attività connesse all’agricoltura, con attenzione accentuata alle connessioni ambientali. Si sono così conservate le attività più caratteristiche della montagna, allevamento e produzione di formaggi in primis.

E’ così che anche l’ospitalità offerta dai nostri alpeggi è naturalmente integrata con il resto del territorio. Qui c’è spazio abbondante per chi ricerca la vacanza semplice, a diretto contatto con la natura. E la sera si scende in uno dei paesi dell’Altopiano, Barzio, Cassina, Cremeno e Moggio che, con le loro frazioni, organizzano tante occasioni di intrattenimento per gli ospiti. Qui nelle sere d’estate spesso si valla e festeggia al suono di musica e canti che hanno radici antiche e sono testimoni di civiltà, mentre le cime dei monti, sorridendo, guardano benevolmente i custodi delle loro leggende e dei loro miti.

QUELL’AFFASCINANTE CONFRONTO TRA L’UOMO E LA NATURA

Ricordate quanto la montagna era sinonimo di vacanze riposanti, di ossigenazione, di tranquillo relax per combattere lo stress accumulato durante l’anno? I tempi cambiano, le mode e le abitudini anche e quell’immagine che faceva della montagna la meta per vacanze di turisti di mezza e terza età, un po’ monotone per giovani rampanti, si è quasi completamente capovolta. La Muggiasca non fa certo eccezione, anzi è stata tra le prime zone a introdurre nuove tipologie di vacanze. Non che si sia rinunciato al tradizionale recupero di riposo e ossigenazione, ma il soggiorno è divenuto “in” anche grazie alle possibilità che la Muggiasca propone ad un pubblico di giovani e giovanissimi. Qui, tra Riviera e Muggiasca, c’è molto da fare per divertirsi. Oggi qui e domani là: una partita a tennis, un giro in bicicletta alla scoperta di nuovi luoghi oppure una cavalcata con gli amici. Andare in mountain bike, lanciarsi con il deltaplano o il parapendio, oppure pescare nelle acque dei torrenti: solo le ferie in testa e nelle gambe. Oppure semplicemente lasciarsi andare, fare quello che si preferisce. Tante cose sono possibili. E’ soprattutto l’avventura il nuovo credo, intendendo con questo termine le nuove discipline sportive esplose in questi anni grazie anche a quel pizzico di rischio in più che permettono o a quelle emozioni che arricchiscono il personale status symbol. Dall’Alpe Giumello ci si lancia dopo una breve rincorsa con un paracadute e si discende lentamente librati nell’aria sino a Taceno, nel fondovalle: è il parapendio. L’emozione non mancherà di certo.

Incredibile ma vero: la Valsassina non è solo terra di scarponi e sci o di corda e piccozza, ma anche quella  dove cimentarsi con randa e fiocco. Anche la vela e il surf sono infatti sport che si possono praticare da queste parti. Autentico tempio della vela è l’Alto Lario tra varenna e Colico che dalla primavera all’autunno ospita importanti regate eliche anche a carattere internazionale. L’ampio invaso lacustre è poi meta ambita per gli appassionati di surf che possono praticare il loro sport preferito in un ambiente affascinante ed insolito quale è quello delle montagne che si tuffano nella acque del lago. L’inverno e il freddo, nei paesi della Riviera, hanno i giorni contati. Forse il momento più suggestivo per la visita è proprio la primavera quando il clima mediterraneo diventa artefice di un fantastico affresco, quando i colori degli alberi in fiore si accendono creando magnifici contrasti e l’intera zona si bea del loro profumo. Il sole sembra richiamare il lago all’ordine per prepararsi alla stagione dei bagni, del windsurf e degli sport nautici.

Terra, acqua e aria sono i tre elementi con i quali l’uomo da sempre si è confrontato. Non serve comunque andare per i deserti, navigare per gli oceani e affrontare i cieli più lontani per poter vivere le grandi emozioni dell’avventura. La Riviera e la Muggiasca sono uno dei luoghi ideali per poter essere protagonisti di quell’affascinante confronto tra l’uomo e la natura. Questa vocazione all’avventura è oggi confermata dalle possibilità escursionistiche con la mountain bike, dal veleggiare in barca o in surf e poi ancora dal volo con il deltaplano e il parapendio.

Le straordinarie bellezze della natura e del paesaggio si possono scoprire lungo sentieri ben segnati. Salire attraverso pascoli tappezzati di fiori, verso uno dei tanti alpeggi. Vivere l’incanto dei monti a tu per tu con la natura, con la vista che spazia a 360 gradi dalla pianura alla catena delle Alpi con l’imponente scenario dei suoi quattromila innevati.

Questi itinerari, che partono magari da una spiaggia solare in riva al Lario, passano anche per molti villaggi che hanno conservate intatte le loro caratteristiche architettoniche, quasi arcaiche: niente di meglio per chi, in vacanza, cerca quiete e riposo, lontano dal trambusto e dallo stress. Qui ci sono solo prati, boschi, cascine solitarie, maggenghi silenziosi, ed una cappelletta che inviata ad un momento di raccoglimento. Sono proprio gli edifici religiosi, che conservano tracce di architettura romanica, a provare la lontana origine di queste terre, sia esplorando la Muggiasca partendo da Casargo per Indovero e Narro, sia salendo da Bellano per Vendrogno. In alto Giumello, una delle zone panoramicamente più belle dell’intera Valsassina. Più in basso è l’insieme dei villaggi che fanno capo a Vendrogno, Comasira, Inesio, Noceno, Sanico, Mornico, Camaggiore, frazioni costituite la più parte da significative testimonianze di edilizia rustica e da un impianto urbano fatto di stretti vicoli. Non manca comunque qualche edificio diverso da quelli tradizionali. Sono traccia delle antiche emigrazioni, dei paesani, invero pochissimi, che avevano fatto fortuna lontano. Itinerari ideali per chi più cha alle emozioni forti preferisce la tranquillità di una bella escursione in libertà tra prati e boschi, magari a caccia fotografica di qualche bell’esemplare di capriolo. Anche questo è il fascino dell’avventura.

Pari, se non maggiori soddisfazioni, regalano i centri della Riviera. varenna con il suo reticolo di scalotte che scendono verso il lago, i complessi storico-monumentali delle Ville Cipressi e Monastero, le quattro chiese che si affacciano sull’unica piazzetta; Bellano con il vecchio nucleo testimone di antiche nobiltà e le suggestive frazioni di Portone, Bonzeno, Pradello, Ombriaco, Lezzeno, Pendaglio e Oro; Dervio con la graziosissima frazione di Corenno e l’antico nucleo di Castello che richiama all’altrettanto vetusto insediamento di Mondonico in quel di Dorio. E infine Colico, che invita a far tappa ad Olgiasca, Laghetto, Villatico, Curcio e Fontanedo tra testimonianze di storia e di arte, prima della riserva naturalistica del Pian di Spagna. Qui la vista già spazia sulle Alpi. L’itinerario lungo la sponda rivierasca può essere compiuto anche seguendo la medioevale “strada del viandante”: lo storico percorso lungo la sponda orientale del Lario è una straordinaria occasione per conoscere le testimonianze più antiche degli insediamenti. Il lungo e pittoresco percorso a mezza costa sulla montagna offre sempre uno stupendo panorama che alterna, nella cornice di lago e monte, boschi radure, villaggi e contrade che si contraddistinguono per la loro architettura contadina ma anche per i loro monumenti dei secoli scorsi. Un giardino delle delizie, che è tale anche a tavola. Le specialità della tradizione gastronomica locale sintetizzano, nella loro varietà, le influenze e gli apporti ricevuti da culture profondamente diverse come quelle della montagna e del lago: così che in queste terre la lista delle vivande spazia da piatti di stampo decisamente montano a eccellenti interpretazioni della classica cucina italo-mediterranea. La scelta è ricca e le sorprese piacevoli appaiono con grande naturalezza tanto nei ristoranti più raffinati che sui tavoli di legno dei rifugi. Di una cosa, comunque, non scordatevi mai: assolutamente da provare i formaggi tipici.

GRIGNE: INCOMPARABILE SPETTACOLO DI ROCCE IGNUDE

Le parole di Dino Brivio in Montagne del Lecchese descrivono così il gruppo più noto tra le montagne lecchesi: “E’ incomparabile lo spettacolo delle loro rocce ignude”. Ed invita ad osservarle dalla sponda dirimpetto “illuminate dagli ultimi bagliori del sole al tramonto, che l’acqua del ramo lecchese del lario riflette capovolte”.

Secoli prima Leonardo da Vinci, in un appunto sulla Grigna, assicurò di avervi visto “cose fantastiche”. A Leonardo scienziato interessò sicuramente il fenomeno carsico della Grigna che dà luogo a numerosi sistemi e reti di infiltrazione, con le spettacolari doline dei monti Albiga e Fopp nella zona dell’alta Val d’Esino, la Zorca di Cavedo, il circo di Moncodeno con la ghiacciaia dovuta a deposito carsico di neve e ghiaccio di rigelo da cui derivano  le acque sotterranee che sfociano nella grotta di Fiumelatte poco a sud di Varenna, l’anfiteatro dell’Alpe di Campione.
Tutti fenomeni che custodiscono preziosi serbatoi di risorse idriche erogate in parecchie sorgenti che assicurano rifornimenti agli acquedotti di molti paesi.
Tra le sorgenti carsiche più importanti vanno citate – anche perchè ciascuna può diventare meta di suggestivi e appaganti itinerari, anche di breve lunghezza – la sorgente della grotta del Fiumelatte, la sorgente Grenzone a Pasturo, la fregera a Prato San Pietro, la sorgente della Pelada o Pioverna nella valle dei Grassi Lunghi e le sorgenti della valle Mulini nella zona della grotta dei Darden. Ma tra le grotte del massiccio della Grigna, la più importante, anche perchè ha sempre attirato la curiosità degli studiosi di fenomeni naturali, è quella della ghiacciaia del Moncodeno.
All’ampio anfiteatro dell’Alpe e della ghiacciaia di Moncodeno si arriva dall’Alpe Cainallo, percorsa tutta la Val d’Esino che sale dalle rive del Lario. Vi si accede anche dal versante valsassinese sia per la valle dei Mulini – il percorso utilizzato per secoli per trasportare il carbone di legna prodotto dagli esinesi alle fucine della Valsassina -  sia per l’erto cammino del passo dello Zapel, dominato dalle incombenti pareti del pizzo della Pieve.

Quando incombe il temporale e il vento soffia tra pareti forre, conche e canaloni, si crea uno strano effetto sonoro di fischi e di lamenti. La leggenda vuole che siano i gemiti dei pastori condannati a vagare per l’eternità tra questi sterili pietraie, una volta pascoli così pingui e floridi che i pastori non osservarono il precetto festivo, guadagnandosi il castigo divino.

E pensare alle divinità, da queste parti non è difficile. Certe formazioni rocciose naturali come la Porta di Prada o la Porta del Lupo, oppure la Porta Grande, evocano storie di giganti, dei e semidei che scorazzavano tra queste montagne e galoppavano nella fantasia della gente.

Dalla devozione di quest’ultima nacque, nell’Alto Medioevo e rimanendo ben viva ancora oggi, la leggenda dei fratelli eremiti o santi della montagna, che sulla Grigna non serrata da altre barriere di monti e al cospetto dell’ampio squarcio del Lario che la fa spaziare da una sponda all’altra, assume respiro più ampio. Racconta di fratelli che avevano scelto ciascuno una cima in vista l’una dell’altra, dove ritirarsi a pregare, venerati dalle popolazioni per la loro sanità; e di una pia sorella, Margherita, che viveva al passo di Piazzo, tra Valsassina e Val Varrone. La memoria dei fratelli eremiti è oggi legata ad alcune chiesette alpestri che ne tramandano i nomi (Sfirio sul Legnoncino, Calimero in Grigna, Ulderico sul Muggio, Defendente sempre in Grigna, Grato sul Muggio, come pure Girolamo, mentre non c’è più traccia di quella di Fedele) e la tradizione che, in particolari feste, vuole l’accensione di fuochi visibili tra l’una e l’altra a evocare l’antico dialogo tra i fratelli eremiti.

Un modo per addolcire l’asprezza della montagna con le stesse caratteristiche del territorio di Pasturo dove, dopo aver risalito e poi valicato la Val d’Esino, la discesa per la valle dei Mulini, può concludersi un ideale anello del Grignone. Lo straordinario paesaggio dei monti di Pasturo è nutrito di storia e di cultura. Nel ciclo delle stagioni, il lavoro dei montanari comincia dai prati, in altro. Qui è rimasta invariata l’architettura contadina fatta di pietra e di legno, che mantiene viva una parte di Medioevo. Nel corso dei secoli è stato creato dal lavoro dell’uomo un piccolo paradiso, nel quale ognuno potrà trovare riposo e rigenerazione dalla vita quotidiana, in un paesaggio naturale e culturale non inquinato dal sovraffollamento turistico.

Qui il monte ha conservato le caratteristiche descritte nella seconda metà del Cinquecento da Paride Cattaneo Della Torre: “Grassa terra di Pasturo, per il fertile territorio, per li monti et per la grande moltitudine delli bestiami d’ogni sorte”. L’abate Antonio Stoppani, tre secoli più tardi, parlerà di “terre feraci le quali vanno debitrici all’antico ghiacciajo della loro feracità e amenità”, inducendo così l’autore di Una passeggiata dilettevole e istruttiva nel circondario di Lecco a ricordarci che qui il “territorio è abbondante di pascoli, vi si allevano grosse mandre di vacche bergamine, e si fanno eccellenti formaggi”. Ancora oggi è così e il piacere, per il palato, è veramente grande.

Il fatto che in Valsassina si siano incontrati, per secoli, la montagna e la pianura, la campagna e la città, il rustico e il mondano, ha avuto la sua influenza anche sulla cucina. I forestieri hanno rivelato i loro segreti culinari che si sono mescolati con i nostri piatti rustici, odorosi di bosco, per diventare una cucina piena di diversità che saprà sempre sorprendervi. Perciò  godete i nostri piatti in una terra che vi invita ad un allegro pasto in buona compagnia, gioia per gli occhi e per il palato.

CONOSCERE PER CAPIRE UNA TERRA

STORIA

La storia di queste valli dominate dalla natura è vecchia quasi quanto l’umanità stessa. Di ciò testimoniamo tra l’altro gli antichissimi luoghi di culto che sono stati ritrovati. E’ certo che le valli sono abitate da moltissimo tempo. Già scoperta dai Celti, dai Romani, dai Franchi e dai Lognobardi, la Valsassina è rimasta ciò che è sempre stata: punto di incontro e di amalgama di culture multiformi. Ai tempi della conquista romana venne costruita una strada di collegamento attraverso la val Biandino fino al di là delle Alpi. Grazie a questa strada la valle ebbe un notevole incremento commerciale e oltre all’agricoltura vi fiorirono l’industria estrattiva e quella ferriera. Già in epoca preromana vennero aperte e sfruttate le miniere. I resti delle fortificazioni che si rilevano numerosi in posizioni strategiche, le chiese romaniche, tutto riporta alle antiche origini di questa terra e dei suoi abitanti. Che sempre difesero i propri diritti, codificandoli, fin dal Medioevo, in appositi Statuti e aggregandosi in quella Comunità di Valsassina il cui territorio, corrispondente all’incirca all’attuale, fu suddiviso nelle squadre dei Cugnoli, Mezzo, Consiglio e Monti. Una forma di autogoverno che sopravvisse fino alla prima metà dell’Ottocento. Già nel 1500/1600, come testimoniano gli atti delle visite pastorali dei due cardinali Borromeo, Carlo e Federico, vi si trovavano non solo chiese ma anche scuole e ospedali. Terra di confine tra il Ducato di Milano, la Serenissima Repubblica di San Marco e i Grigioni, la Valsassina è stata anche fertile terreno di scambi. La storia movimentata della Valsassina è testimoniata anche dai numerosi stili architettonici rappresentati, dal suo patrimonio artistico variegato e dalle usanze tramandate fino ai nostri giorni. L’attività mineraria perse la sua importanza nel XIX secolo: oggi quanto rimane di quella attività attende di essere trasformato in un percorso museale per attrarre nuovi visitatori.

GEOLOGIA

Sono ben noti agli speleologi  i nostri monti: sia il massiccio calcareo delle Grigne che quello dei Campelli presentano interessanti fenomeni carsici che hanno originato cavità profonde e tortuose, regno appunto degli speleologi ed accessibili solo con una adeguata attrezzatura. Il complesso carsico della Bobbia che dalla base del Campelli scende fino a Barzio , la ghiacciaia del Moncodeno sul Grignone ricca di stalattiti e stalagmiti di ghiaccio, le grotte sempre sul Grignone dove sono stati ritrovati i resti dell’Ursus Speleus, le antiche miniere di ferro sfruttate fin quasi alla fine del secolo scorso, non costituiscono tuttavia gli unici motivi di interesse geologico del territorio. Le nostre montagne si sono infatti formate per il sollevamento del fondo dell’antico mare che copriva tutto il Nord Italia e sono perciò ricchissime di fossili. Le glaciazioni che hanno successivamente interessato le nostre valli hanno lasciato la loro firma nella forma a U che riconosciamo nella sezione della valle principale e di quelle laterali, così come nei laghetti in quota originati da conche glaciali. Le acque di scioglimento hanno formato i conoidi di origine alluvionale su cui sorgono i paesi rivieraschi e contemporaneamente dato origini a cascate (la più famosa è quella della Troggia a Introbio) e a orridi (celebre quello di Bellano).

Fenomeno geologico curiosissimo è l’intermittente Fiumelatte, lo spumeggiante corso d’acqua dell’omonima frazione di Varenna. Siamo comunque su un terreno davvero misto, dove si possono incontrare gneiss e calcari, dolomie, serpentini e calcescisti. E ogni pietra ha la sua data di nascita, il suo motivo d’essere, il suo significato, la sua storia da raccontare.

FLORA

Guardare e non toccare è una regola da tenere ben presente quando visitate la Valsassina. Potrà sembrare difficile quando, attraversando le grandi distese di prati, vi capiterà di osservare questi preziosi fiori di montagna, la stella alpina di leggendaria bellezza, il rododendro e il giglio martagone. Un piacere per gli occhi, una vita concentrata in poche ore di estasiante bellezza. Ma è solo per questo rispetto che la natura potrà regalare tanti momenti di colorata armonia. Salite una qualsiasi delle nostre vette. Anche lassù vi capiterà, a sorpresa, di trovare abbarbicata in estatica pace una piccola pennellata di colore, la soldanella, il ranuncolo, l’androsace ola sassifraga. In primavera molti prati di montagna sono invasi dal croco. Poco dopo comincia la stagione dei denti di leone, distese sterminate di color giallo. Ma il periodo più memorabile è l’inizio dell’estate, quando le montagne si trasformano in veri tappeti colorati di genziana e di ster alpino, campanelle ed orchidee di montagna. L’autunno dà un’altra pennellata di colore ai boschi, fino a quando in inverno, d’improvviso, tutto scompare sotto una nuvola di bianco. Basta una camminata tra i prati e i boschi della valle per tuffarsi nella flora: cespugli di rododendri, genziane, anemoni accompagnano il cammino in un caleidoscopio di colori. Sembra quasi di percorrere un sentiero all’interno di uno straordinario giardino botanico in quota. Anche le stelle alpine non sono difficili da scorgere.

FAUNA

Ma le scarpinate, in Valsassina, non sono gratificate solo dalla bellezza della flora che si incontra, al cospetto delle cime che si ergono verso il cielo, ma anche dall’incontro, assai frequente, con “amici” con le corna o con le ali. Oltre la metà della superficie del territorio valsassinese è coperta da boschi nei quali, in estate e in autunno, è impossibile non addentrarsi anche da profani, sia pure per una semplice passeggiata. E non è raro, con un po’ di fortuna e avendo cura di non provocare eccessivo rumore, fare qualche piacevole incontro con rappresentanti della fauna, ovviamente diversa da zona a zona, allo stato libero. La Valsassina è una terra di montagna particolarmente ricca di animali, grazie ad una politica di tutela delle specie e ad un regime venatorio improntato praticamente ad una caccia di selezione riferita ai regolari censimenti eseguiti. E queste scelte hanno consentito di mantenere, nei boschi e sulle montagne in generale, tanti amici a quattro zampe e tanti – da invidiare quando si vedono librarsi in volo – che popolano il cielo. Il nuovo equilibrio faunistico evolutosi in questi ultimi anni ha permesso lo sviluppo di una notevole popolazione di ungulati. Caprioli, cervi, camosci e stambecchi popolano l’intero territorio occupando sempre più vasti areali non più interessati dalla presenza dell’uomo, del pascolo e dell’alpeggio, dove numerose sono anche le marmotte, i simpatici roditori conosciuti per l’acutissimo fischio d’allarme che lanciano quando la vedetta del gruppo avverte il pericolo. Tra i roditori sono da ricordare anche il ghiro e lo scoiattolo. Quanto alla nodificazione, sono censite aquile e galli forcelli, specie che vivono solamente in ambienti naturali nei quali vi sia un ottimo equilibrio. Nei boschi sono numerosi fringuelli, scriccioli, merli, pettirossi. Non mancano i rapaci più comuni, come la poiana e il gheppio.

ARTE

Tra le molte motivazioni alla base dell’offerta del turismo valsassinese, arte e urbanistica rivestono sicuramente un ruolo tra i più importanti, mentre tradizione e folclore, che si tramandano di generazione in generazioni, sono altrettanti aspetti da scoprire. Dal punto di vista artistico, il territorio vanta una significativa ricchezza perchè le influenze artistiche delle varie scuole lombarde hanno qui trovato terreno fertile, lasciando opere di sicuro valore. Notevoli monumenti artistici e culturali sono, partendo dai più antichi, la chiesetta di Santa Margherita a Somadino di Casargo, quella dei Santi Quirico e Giulitta a Dervio, quella di San Giovanni a Varenna e quella di San Giorgio a Modonico di Dorio. Se l’abbazia di Piona, in territorio di Colico, con il suo chiostro romanico, è il monumento per eccellenza di un percorso medioevale, rielvante è la chiesa di San Michele ad Introbio, con affreschi del 1400 e 1500. Le parrocchiali di Varenna e Bellano conservano vistosi segni dal romanico al rinascimento. Il Ralis, che qui operò nel ’600, ha trasformato la valle, attraverso le sue chiese, in una pinacoteca di grande interesse che ha forgiato anche artisti locali che, in particolare nella dinastia dei Tagliaferri di Pagnona, ha elaborato autonomamente opere di grande valore. Le vicende dell’arte sono poi scritte nelle più ampie pagine dell’urbanistica: i centri storici dei paesi, con l’impianto dell’insediamento e le abitazione comuni, sono essi stessi opera d’arte. Girando per le vie e viuzze sotto gli archi e gli archivolti si riesce a cogliere in pieno la pacata atmosfera che ancora regna nei paesi. Stupiscono molti edifici in stile, con i loro eleganti portali in pietra e le facciate movimentate da logge, archi e colonnine. Da Barzio a Paturo, per Introbio, Primaluna, Cortenova, Taceno, Margno e Casargo, fino su a Premana, troviamo esempi perfettamente conservati di un’arte importata dai maestri veneziani e fiorentini quattrocento anni orsono, in pieno Rinascimento. Chi è incline alla tentazione del bello, potrà partire verso entusiasmanti scoperte. Guardate bene, se volete conoscerci meglio.

Poichè possibilità di godere il piacere dell’arte da noi se ne trovano in abbondanza. Non ha importanza che si tratti di un polittico oppure di un chiostro poichè questi apparentemente muti testimoni dei tempi passati inizieranno d’improvviso a parlare e vi racconteranno storie meravigliose, se solo vi lascerete andare. Iniziate a dialogare con uno dei nostri innumerevoli tesori e vedrete come la semplice osservazione di un’opera d’arte possa diventare un’esperienza meditativa. Qui tutto è cultura, perchè tutto esprime la vita di un popolo e le vie attraverso le quali ha saputo camminare nei secoli.

GODERSI I SAPORI E LASCIARE LIBERO LO SPIRITO

Dopo averla esplorata per sentieri silenziosi e facili, godete i nostri piatti in una terra che vi invita ad un allegro pasto in buona compagnia, gioia per gli occhi e per il palato!

Perchè in Valsassina si sono incontrati, per secoli, la montagna e la pianura, la campagna e la città, il rustico e il mondano. E tutto questo ha avuto la sua influenza anche sulla cucina.
I forestieri hanno rivelato i loro segreti culinari che si sono mescolati con i nostri piatti rustici, odorosi di bosco, per diventare una cucina piena di diversità che saprà sempre sorprendervi. La lista delle vivande spazia da piatti di stampo decisamente montano a eccellenti interpretazioni della classica cucina italo-mediterranea. La scelta è ricca e le sorprese piacevoli.

Sedersi comodamente alla tavola imbandita, in un gruppo rilassato, fuori in giardino, al ristorante al lume di candela oppure in una trattoria rustica o in un rifugio alpino. Qui l’arte del mangiare è una tradizione e l’arte del vivere è il punto di incontro di due culture, quella alpina e quella mediterranea. Per scoprirlo c’e’ un solo modo: godersi i sapori e lasciare libero lo spirito. Anche questo è esplorare e vivere la montagna.

Un paesaggio da libro illustrato: vario, vivace, sempre sobrio, ma soprattutto incomparabilmente bello. Ciò che la gente delle nostre valli ha ereditato dai suoi padri lo custodisce e lo cura come nel buon tempo antico. Ed è fiera di questa tradizione. E qui le tradizioni sono custodite come i gioielli di famiglia e tramandata di generazione in generazione. Del resto uno che se ne intendeva e che ha percorso in lungo e in largo le nostre terre, Leonardo da Vinci, ha scritto: “Che ti muove, o omo, ad abbandonare le proprie tue abitazioni della città, e lasciare li parenti e amici, ed andare in lochi campestri per monti e valli, se non la naturale bellezza del mondo, la quale, se ben consideri, sol col senso del vedere finisci?”. Come ospite, ti assicuriamo un posto in prima fila per lasciarti coinvolgere dalla suggestione dei nostri piccoli borghi, immergerti nell’atmosfera d’altri tempi dei nostri costumi, condividere l’atmosfera festosa delle nostre sagre, gustarti le specialità gastronomiche, ammirare i prodotti dell’artigianato locale, assistere ai riti della nostra fede. Qui c’è qualcosa di intimo come quando al rintocco delle campane per la preghiera della sera dalle finestre delle case si possono scorgere piccole luci brillare. Queste le nostre proposte; ce n’è una per ogni weekend.

VALVARRONE: COSE BELLE DA VEDERE, VIVERE E CONDIVIDERE

Vivere qui, da agricoltori di montagna, significa sopravvivere ad una natura aspra. Significa salire su per i pendii fino al limite della vegetazione. Significa vivere tra la terra e il cielo. E’ inconfondibile il volto del paesaggio plasmato nei secoli dalla instancabile fatica contadina, la stessa che, da sempre, è garanzia di prodotti naturali genuini.

Chi percorre per la prima volta le vie della Valvarrone non tarderà a scoprire che ci sono tante cose belle da vedere, vivere e condividere: i paesi dove il tempo sembra essersi fermato all’antico scandire del tempo e che con le loro architetture tradizionali meritano una visita con occhi attenti, l’interminabile sequenza di boschi, le vette che si stagliano nel blu.
Si sale da Dervio beneficiando di panorami irripetibili che possono contare su due risorse, il Lario e le Alpi. Poi, superato Vestreno, Sueglio e Introzzo, la valle si fa stretta e profonda, scura di boschi. Sul versante sinistro incombe il Muggio, sul versante destro il Legnoncino. Per ritrovare orizzonti più ampi si sale sulle pendici di quest’ultimo. Baite a gruppi o isolate, prati e pascoli, offrono un ambiente di serena bellezza sia verso Sommafiume con la grandiosa immagine dell’Alto Lario, di Colico, il Pian di Spagna e la bassa Valtellina nonchè la barriera alpina che verso l’Alpe Lavadè e i Roccoli Lorla. Tremenico offre lo straordinario ambiente rurale di Fenile e, sopportando la fatica di scendere in fondo alla valle, attraversare il Varrone e quindi rimontare il versante opposto, il Monte Lenttèe. Più oltre è Aveno, il nucleo che, più di altri, ha conservato intatti i caratteri del tempo i cui Berta filava. La strada è ancora lunga prima di guadagnare Pagnona, rustica borgata tra i castagni dalla quale dipendono le Alpi di Gallino, Campo e Subiale. Poi l’approdo a Premana, un mondo.

Premana non è un paese, è una terra. Attribuzione che non deriva dall’essere Premana la capitale europea nella produzione di forbici e coltelli, ma dai suoi looch: oltre cento tra nuclei rurali e alpeggi estivi dove, sulla terra di tutti, le famiglie del paese godevano il diritto a pascolare e a costruire una baita. Riunite nelle “compagnie” erano del tutto responsabili dell’uso e del mantenimento della terra, delle attrezzature e dei luoghi della vita comune come la fontana, i sentieri, le “casine” del latte. Ancora oggi sugli alpeggi i soci danno la giornata per i lavori di utilità comune. Il vecchio nucleo dell’abitato è quasi un unico edificio. Chi volesse circoscrivere un isolato, si accorgerebbe che non è possibile, che le case continuano l’una nell’altra, oltrepassano le strade, per chiudersi poi a valle in un prospetto compatto e continuo. La rete dei percorsi è fittissima, attraversa e fora il blocco degli edifici a più livelli, sfruttando le forti pendenze, creando vere e proprie gallerie, luoghi di incontro, di sosta e di riposo che prendono via via i nomi che ne connotano l’uso comune e quotidiano di secoli: la piazza del Consiglio, la “croce”, la “piazze” sinonimo di piazza per eccellenza anche perchè luogo del forno per il pane della comunità.

Fino a un secolo fa Premana era un’impervia terra di alta montagna di difficile accesso. Per tale ragione la cultura e le usanze dei premanesi hanno conservato la loro originaria purezza. Ancora oggi, in occasione di feste religiose, processioni e matrimoni, si indossano i costumi tipici. Il modo migliore per conoscere lo spirito dei suoi abitanti è partecipare ad uno di questi appuntamenti. La gente premanese è piena di gioia di vivere, come testimonia il rituale “past”, le piace cantare, anche assieme ai suoi ospiti. Ed è molto fiera del suo idioma. Sui monti di Premana la natura ha mille volti che, non si sa mai, potrebbero darvi la voglia di mettere radici in questi luoghi. Le mete per una vacanza all’insegna della voglia di ritrovarsi non si contano: vallate disegnate a mosaico dai boschi e dai prati, alpeggi dove d’estate esplodono straordinarie fioriture, pareti a strapiombo a sorreggere le vette dei Pizzi, l’Alto, il Rotondo, il Melasc, il Varrone, il Trona, il Tre Signori. Montagne che chiamano, e non montagne qualsiasi. Dal Legnone al Pizzo Tre Signori è una piccola catena che offre dalla semplice escursione all’arrampicata. C’è proprio tutto. Sentieri e itinerari sono segnalati alla perfezione. Ben provvisti i rifugi. Qui è possibile fare un balzo all’indietro di secoli, quando il ferro della Valsassina e, in particolare, della Valvarrone, era rinomato in tutta la Lombardia e i suoi artigiani conosciuti e contesi in ogni angolo d’Italia. Tra non molto le gallerie di alcune miniere non più in esercizio saranno trasformate in percorsi museali e didattici. E lo stesso varrà per le fortificazioni allestite durante il primo conflitto mondiale, apprestamento difensivo a parare la pianura da un eventuale nemico che avesse occupato la Valtellina. La Valvarrone, assieme all’ebbrezza delle quote più alte dell’intero territorio, offre gite indimenticabili tra giochi d’acqua e di verde.
Qui, secondo il ritmo che hanno assunto gli alpeggi di Pagnona e di Premana, c’è tempo per sè e per le cose che rendono bella la vita. Qui si può godere il sole sulle rive di un lago di montagna (la cornice più suggestiva è quella dei laghetti di Deleguaggio e del lago Rotondo) o vivere la vacanza attivamente. Qui si possono scoprire i luoghi, i looch, con piacevoli escursioni nella natura incontaminata e fermandosi a gustare la bontà di una cucina casereccia, con il formaggio e il latte fresco di montagna, lasciando così scorrere le ore della giornata. Oppure, dopo la notte all’alpe, alzarsi al mattino presto per vivere le attrattive della montagna, senza corda nè ganci, solo con la forza delle gambe. Percorrere sentieri verso alpi solitarie e laghi immersi nella natura. E dopo la sosta nell’ultima malga, su fino alla vetta. E qui trattenersi ancora per un attimo a raccogliere impressioni per portarle a casa.

Molte e suggestive le passeggiate e tanti e ben marcati i sentieri che portano in quota. Qui ogni stagione è buona per incamminarsi. La primavera regala l’indimenticabile visione della fioritura, l’estate offre paesaggi spettacolari nella cornice verde dei prati e dei boschi, in autunno i colori mutano quasi da un giorno all’altro.

E a proposito di boschi, i piccoli frutti crescono in po’ ovunque, ma quelli valsassinesi sono il nostro vanto. Di un bel colore, tenerissimi e ricchi nel gusto, sono i protagonisti di creazioni squisite. Le variazioni sul tema, dalle confetture agli sciroppi, la dicono lunga sulle soddisfazioni che attendono i buongustai. Per cui quando vi dicono: “Signori, a tavola”, prendete al volo l’occasione: molto di ciò arriva sulle tavole è cresciuto qui.

 Progetti PSR 2007 - 2013 

Vari progetti riferiti a differenti misure

Fondo Europeo Agricolo per lo Sviluppo Rurale: l'Europa investe nelle zone rurali
Progetti vari riferiti a tematiche sulla MULTIFUNZIONALITA' ed avvicinamento ad EXPO 2015
I testi archiviati sono estratti da un'ampia produzione di materiale realizzato con vari progetti finanziati e prodotti con i fondi del PSR 2007 - 2013 e riferiti a ​differenti misure e sottomisure

 

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